L’Everest

22 gennaio 2008

Questo articolo nasce vecchio; abbiamo già abbondantemente superato quota 8000 e sfioriamo, nel momento in cui scrivo, i 10000 (al lordo però delle firme anonime, i falsi evidenti etc, che devo ancora ripulire). E’ un numero pazzesco, per una iniziativa a tam-tam popolare. Un buon soggetto di studio per una tesi in sociologia politica. Vi ricordo il link della lettera aperta: www.petitiononline.com/386864c0/petition.html.

Ho sentito molte persone, anche su questo blog, sollevare critiche ben argomentate sull’iniziativa dei fisici. I temi di critica sono essenzialmente due, ben espressi da due commenti molto lucidi: che (1) non è vera l’equazione invito=asservimento e che (2)sia stato tutto controproducente. Secondo me su questi punti sarebbe utile riflettere (qualcuno l’ha già fatto rispondendo a quei commenti, andate a vedere).

Sul punto (1), ritengo che il nodo della questione sia quello, sottile, di quale significato abbia, o dovrebbe avere, l’inaugurazione dell’anno accademico. Durante quella cerimonia, l’Università dovrebbe guardare dentro sé stessa, e definire i propri obiettivi per l’anno anche in relazione ai propri rapporti con la società. Non esiste una regola certa su come comportarsi, chi invitare e chi no, e sulla base di quali criteri; ma certamente un criterio non puo` ridursi al “non mi piace quello che ha da dire”, perché non sarà mai possibile invitare qualcuno che piaccia a tutti, e soprattutto perché è un concetto troppo contiguo alla censura e all’impedimento della parola.

Ricordo gli anni in cui ancora si rispettava la bella tradizione che a parlare alla Sapienza fosse sempre il decano dell’università; questo era un criterio chiaro e semplice, una tradizione che venne (giustamente, anzi a maggior ragione) rispettata anche quando il decano era lo storico revisionista de Felice, sempre duramente contestato. Adesso vanno in voga scelte più “pubblicitarie”; si sente parla re dell’inaugurazione più come di un evento, uno happening, piuttosto che come di una cerimonia. Si cerca di invitare un nome noto per ragioni pubblicitarie, e certo a questo scopo chi meglio del Papa?

Secondo me i nodi da sceverare sono parecchi. Intanto è evidente a tutti che la volontà di partecipare al dialogo da parte del papa è asimmetrica: il papa è felice di rilasciare una lectio magistralis, magari in un contesto solenne, ma non lo vedremo mai seduto ad una tavola rotonda, e men che meno partecipare a Porta a Porta o a Ballarò; fa ridere solo l’idea, semplicemente non è cosa. Nè vedremo mai uno scambio di opinioni tra il papa e un suo avversario. Chiunque altro che non fosse il papa avrebbe risposto personalmente (magari anche molto duramente, e forse persino con qualche buona ragione) a Cini, intavolando un vivace scambio di opinioni; ma questo non è accaduto e fa sorridere anche il solo ipotizzarlo. Il massimo che possa accadere, quando accade, è un dialogo per cosí dire clandestino, per interposto cardinale o giornalista curiale. Ecco, questo del rifiuto aprioristico del dialogo e del confronto mi sembra già un eccellente criterio di esclusione.

Molto delicato, perché opinabile sotto vari aspetti, è il tema della evidente strategia di attacco agli spazi laici da parte della chiesa romana. Ovvio che temere questo è un’implicita affermazione di debolezza. Il papa può dire ciò che vuole, ma non ne ho paura; resto libero di dissentire. Se ne ho paura al punto di volerlo azzittire, sto mettendo la mia paura sopra la libertà di parola, ed è sbagliato. Questa è un’obiezione potente. Ma qui non si tratta affatto di azzittirlo o meno; si tratta di riconoscerlo. La venuta del papa all’inaugurazione non sarebbe stato un dare la parola, perché il papa non ha bisogno che gli si dia la parola: ce l’ha! Qull’evento sarebbe stato un riconoscimento! O meglio, uno sdoganamento. Il papa forse non è più venuto perché questo obiettivo era comunque fallito.

Questo ci porta al punto (2). E’ vero che sarebbe stato molto meglio che tutto questo non fosse successo. Ovvero sarebbe stato meglio che quell’invito non fosse mai stato fatto, e qui ricadiamo sul tema delle responsabilità del rettore. Ma dire che l’azione dei fisici è stata controproducente e si sia tradotta in una sconfitta della laicità è decisamente riduttivo. Ragionando a contrario, cosa sarebbe successo se il papa avesse partecipato all’inaugurazione senza proteste (salvo ovviamente i soliti quattordici scalmanati che non mancano mai)? Sarebbe passata nell’immaginario collettivo, sui media, l’immagine di un’università che si pone sotto l’ala protettiva del papa, guida spirituale e grande intellettuale in sintonia con la cultura laica più aperta. Questo papa in difetto di consenso avrebbe, agli occhi di molta gente, assunto una statura gigantesca. Un fatto epocale. I cittadini avvertiti avrebbero fatto forse il distinguo che l’asservimento non consegue dall’invito, ma l’impatto mediatico (sapientemente orientato) sarebbe stato fortissimo. Ci sarebbero state proteste e critiche a posteriori, che sarebbero state bollate come rottami ideologici, in un clima da tribuna di stadio; immaginate solo per un attimo cosa sarebbe successo, Ratzinger è stato a un pelo da un colpaccio incredibile. Sicuri che sarebbe stato meglio non dir nulla?

Resta ovviamente il fatto che si tratta di una brutta storia, che si sarebbe potuto facilmente prevedere d evitare. Bastava non fare l’invito.

Questi i temi che propongo. A voi la parola.